LA BOTTIGLIA DI SARAH BERNHARDT
di
Gigi Trilemma
Sarah Bernhardt fu un'antiartista ante litteram, col sua vita provocatoria in continua
guerra con la società benpensante e il teatro finto moralista.
Atti di una ribellione perenne emblematizzatio dal nudo in scena della Salomè e dalla
dormita in una bara, usanza dissacratoria che sarà ripresa dal nostro D'Annunzio.
Un'interpretazione quella dell'Estate Romana leggera, sobria, compatta sostenuta
da una regia attenta e da una scenografia sontuosa che ricostituisce nel magnifico
giardino del Fontanone dell'Acqua Paola un'atmosfera liberty, piena di cineserie, bambù,
piante rampicanti.
Lidya Biondi impeccabile nella parte della divina, senza giammai caricare come il
personaggio suggeriva, se non nei momenti topici e necessitati. Davvero sontuosa l'azione
scenica di Roberto Della Casa, un perfetto doppelganger grottesco di Sarah e di se stesso,
un servo di scena Pitone di nome e di fatto.
L'ironia, talora la comicità , sorregge il dramma di quest'autentico canto del
cigno-Sarah che nella scena finale lascia la sua anima in una bottiglia con un messaggio
di eternità gettato nella fontana-oceano.
Un'eternità che supera quella delle stelle e del sole che, nell'invocazione disperata
e superiore dell'attrice in decadimento senile, è destinato pur esso a diventare polvere.
Alla fine rimane solo la gloria della Divina. La Fiamma dell'Antiarte.