QUESTI
FANTASMI…
DEL
LINGUAGGIO
Di
Agius & Francione
Al FontanonEstate di
Roma (www.fontanone.it) va in scena "Questi
fantasmi" commedia di Eduardo De
Filippo, per la regia di Antonello Avallone che funge anche da
interprete insieme agli ottimi da Mimmo La Rana, Francesco Tuppo e Mara Liuzzi.
La commedia,
una delle più popolari di
Eduardo, ha chiari risvolti
comici che talora sfiorano la malinconia
e il dramma per la vicenda di un uomo incapace di affrontare la
vita nella sua quotidianità. Pasquale
Lojacono, suggestionato dalle voci che ritengono la vecchia in cui va ad
abitare frequentata dagli spiriti, si convince che l’amante di sua
moglie altro non sia altro
che un fantasma il quale gli elargisce generose donazioni,
avendolo preso sotto la propria cura angelica.
Una commedia esilarante, fra le più amate del
teatro di Eduardo, che nasconde fra le righe il dramma che Avallone
realizza in maniera surreale, quasi in chiave da teatro dell’assurdo
accentuato dalla riduzione dello scenario ai minimi termini. E’ rimasto,
ad esempio, tra i fondali scuri e
intonsi, il balconcino indimenticabile
da cui Pasquale fa i
duetti (in effetti monologhi) coll’onnipresente professore dirimpettaio
dalle voce assente, quasi la sua coscienza a cui ora cerca di mascherare
le paure dei fantasmi cantando una canzone napoletana, ora mostra la sua
maestria nel fare con la machinetta
napoletana un caffè che sembra pura cioccolata.
Avallone, che non è napoletano, si sta
specializzando nel teatro dialettale partenopeo per il quale deve
affrontare il problema antiartistico(http://antiarte.studiocelentano.it)
della traduzione non solo del linguaggio ma anche dello spirito
fatto di infiniti spiccioli di quotidianità in background, di
sapienti pause comiche, che - in
aut-aut - o si è vissuto o no.
E’ lo stesso problema della traduzione di un
classico straniero in italiano La scrivente Agius, che è maltese, ad
esempio ha potuto gustare Shakespeare nella lingua inglese e
nota sempre la differenza nella
traduzione italiana, in negativo.
Secondo l’Antiarte il problema non si pone in
termini così drastici perché l’opera d’arte è rinnovabile
all’infinito o dall’autore stesso o da altri autori.
Anche il regista di lingua madre in un certo senso fa opera
distruttiva dell’opera originaria per poi ricomporla secondo la sua
interpretazione, il suo gusto, la sua sensibilità
e in questa procedura di ricompilazione va ricompreso anche il
linguaggio.
Avallone risolve il problema contornandosi di
attori napoletani puri e spingendo all’estremo, per quanto lo riguarda,
il discorso di italianizzazione del testo napoletano peraltro già
avvertito dallo stesso Eduardo. Usa
quindi un italiano con sprazzi di napoletano e ben fa, ad evitare
distorsioni errate dello slang che possono avere un effetto cacofonico,
superabili solo da chi faccia pratica di imitatore più e oltre che
attore.
E’ proprio quest’escamotage linguistico che
priva il testo della sua carica comica pura,
trascinata nel testo eduardiano
in esecuzione originaria dalla verve dialettale di Pasquale
Lojacono, per offrirgli
piuttosto la veste del grottesco,
una delle componenti madri del teatro dell’assurdo.
Un plauso comunque ad Antonello, il nostro Woody
Allen italiano pervaso da profondo spirito di napoletanità, ben noto
all’altro scrivente, Francione, che
è di Napoli.