IL FRUTTO DEL FUOCO
Di Gennaro Francione
Al Metateatro di Roma va in scena IL FRUTTO DEL
FUOCO, scritto e diretto da Claudio Boccaccini.
In un tragico moderno coro
greco i sincronici 24 allievi del laboratorio marciano in scena a
piccoli passi con le loro
valige: sono gli ebrei che
prima coralmente poi individualmente raccontano la loro storia a partire
dal momento in vennero tratti via a forza dalle loro case
per essere deportati sui
treni nei campi di sterminio.
Il racconto si dipana, armonico, in un collage
ritmato e sobrio, pregno di emozioni e di atmosfera passando dai momenti
patetici degl’inizi, dove i personaggi vivono in bilico, come spaesati
di fronte a quanto di inspiegabile sta loro capitando, a situazioni via
via montanti verso il tragico di una vita disumana vissuta nelle baracche
latrine, fino ad arrivare al gran guignol, con le torture, gli esperimenti
medici sui corpi squartati, da ultimo
le esecuzioni che diventano una sorta di paradossale allucinata
liberazione di fronte a tanta
sofferenza.
E’ un gioco di memoria attuato con compattezza
da Boccaccini che attinge dalla storia vera rappresentata da documenti,
filmati ma soprattutto dalle memorie dei sopravvissuti che raccontarono i
fatti nei processi di Norimberga e di Francoforte.
Un gioco che si chiude nell’ammasso finale di
scarpe riversate sulla scena dagli attori, in cerchio come in un rituale
sacro, vuotando le loro borse. Racconta l’autore che ad Auschwitz rimase
colpito non tanto dai famigerati forni crematori, ma dalle scarpe. Scarpe,
tante,infinite scarpe dentro cui un giorno ci furono piedi umani che poi
sparirono volatilizzati con tutti i loro corpi dagl’immondi bruciatori
dello sterminio.
Un bel lavoro davvero che si chiude anche con un
monito etico. Possa la storia dei 6.000.000 di ebrei insegnare agli uomini
di tutte le razze a purificare gli animi attraverso l’orrore che un
tempo fu vissuto e che non deve mai più tornare. E’ la salvezza
attraverso la memoria affinché,
sotto qualunque cielo, le vittime di oggi, piene di originario giusto
rancore, non diventino gli
aguzzini e gli sterminatori di domani.