THE BIG SEA
(oltre
la grande lastra)
di Astrid
& Francione
Va in scena al
Teatro della Cometa dal 23 aprile al 19 maggio, per la regia di Claudio
Beccaccini, IL GRANDE MARE di
Colin Teevan, un giovanissimo astro nascente della nuova drammaturgia
inglese, che ha riscosso un travolgente successo sia a Londra che a Parigi
e ora approda in Italia grazie alla traduzione di Paola Conte e
Giuseppe Manfridi.
Il titolo della
pièce, "The big sea", in
inglese significa "Il grande mare", ma
per assonanza fonetica anche “La grande C", laddove C sta
per cancer, cancro.
Si tratta di un
immaginario ultimo viaggio alla ricerca della felicità, un testo che
dietro le atmosfere comiche, sgangherate e clownesche sottintende e allude
a profondità degne del più grande teatro dell'assurdo.
In un
luogo estremo e senza tempo (una casa di cura, un ospedale)
tre anziani, assistiti da un'austera infermiera e una suora, si
interrogano sulla propria condizione e sul proprio destino.
Christophe(Riccardo Garrone)un uomo maturo, ancora pieno di vita, tenta in
ogni modo di sottrarsi a quello che sembra un fato di patologia letale
preordinato e ineluttabile. Si dibatte tra le grinfie di
un’infermiera che sadicamente gli snocciola
di professori, oncologi, psichiatri, persino ginecologi che
s’interessano al suo caso ancora oscuro, e Innocenza, un’implausibile
suora, che sembra gradire le sue attenzioni erotiche passatempo, in una
girandola di seduzione e di giochi verbali ruotati sull’ambivalenza di
santità ed erotismo del Gran Seduttore.
Le presenze che si
animano intorno a Christophe sono soprattutto altri due "malati"
entrambi già toccati dalla rosa rossa, posta sulla vestaglia a segno
della morte imminente.
Il
grifagno Charnau è un essere pragmatico, toccato da un sarcoma,
concentrato in giochi infantili come il lego, il monopoli, lo scarabeo. Il piagnucoloso e mistico Caresme è,
invece, affetto da un linfoma maligno; cerca di superare lo stress da
decesso imminente
perdendosi in giochi d’impiccamento coi fili della flebo.
La soluzione alla ricerca
disperata di una distrazione è offerta da Christophe che individua nella
fantasia e nell'immaginazione l'unica via d'uscita. Ed ecco allora che
l’ombra minacciosa della malattia si dissolve in un fantastico sogno in
cui i tre uomini decidono di affrontare un ultimo viaggio all'interno dei
propri desideri, che valica i confini della realtà, una sorta di estremo
sberleffo alla vita e alla morte. I letti
della corsia come per magia si trasformano in tre caravelle, le onde
s’innalzano, le lenzuola si gonfiano come vele al vento e i tre
protagonisti si trasformano nell’equipaggio della Nina, la Pinta e la
Santa Maria sotto la guida illuminata di
Christophe Colombo. Ognuno di essi alla scoperta della propria
America, ma il viaggio, l'avventura, la fuga, sono "della stessa
materia di cui sono fatti i sogni e c’e sempre un’alba in agguato, un
cielo che schiarendo riporta alla realtà. La ricerca di una dimensione
spirituale o di un amore assoluto, capaci di riscattare un'intera
esistenza proprio nel momento in cui essa sta per giungere al termine non
bastano più, tutto sfuma nella traversata oceanica alla ricerca di un
Nuovo Mondo che forse è solo illusione”(dal dépliant di sala
del regista).
Un pièce intessuta di poesia, messa in
scena magistralmente da Boccalini, sincronizzando alla perfezione il
dialogo degli attori e i trucchi scenici per far sì che anche
nell’immaginario dello spettatore
la grigia corsia d'ospedale si tramuti nella smisurata enormità
della lastra marina solcata dalle tre caravelle della felicità. Uno
scoppiettare di giochi verbali ora occulti come la “C” di Cancer
che caratterizza le iniziali dei nomi dei tre personaggi (Christophe,
Charnau, Caresme), ora palese come il senso bifronte della lastra, termine
che si riferisce indifferentemente in grandeur alla distesa marina
e alla lastra finale, quella estrema che darà contezza anche a Christophe
del suo irrimediabile male, facendogli meritare come
i colleghi, una bella rosa rossa sul petto.
La fantasia certo non può allungare la vita ma
consente di arricchirla, rendendoci così tutti compagni di viaggio. E in
questa trasmutazione alchemica il teatro è l’ombelico del mondo,
il luogo deputato a mettere in scena i visionarismi, intrisi di ironia e
talora umorismo, che in qualche modo possono alleviare
le sofferenze della nostra grama esistenza.