IL
BERRETTO DEI PUPI
di
Agius & Francione
Va in scena al TEATRO QUIRINO
di Roma dal 19 febbraio al 10 marzo 2002
IL BERRETTO A SONAGLI di
Luigi Pirandello con Giulio
Bosetti, Michela Cadel, Attilio Curari per la regia di Giulio Bosetti,
realizzato in collaborazione col Teatro Stabile di Palermo.
La rappresentazione mostra la conoscenza profonda del mondo
pirandelliano da parte di Giulio Bosetti, il quale ha scelto quest’opera
fuori dagli schemi soliti del
teatro pirandelliano, per avvicinarsi a quella che potrebbe essere
definita, in chiave antiartistica(http://antiarte.studiocelentano.it), un
prototipo della nuova commedia dell’arte. E’ naturalmente una commedia
moderna, dove il riso grasso delle maschere, ovvero dei pupi, si trasforma
in ghigno della marionetta nella fluttuazione grottesca tra apparenza e
realtà.
Il pupo è lo scrivano Ciampa, già cavallo di battaglia di
Angelo Musco, Salvo Randone, Turi Ferro, ma soprattutto di Eduardo De
Filippo che, nella chiave antiartistica della perenne incompletezza
e possibilità di ri-scrittura del testo, ha napoletanizzato
l'opera di Pirandello.
Ciampa è l’omino-maschera che vive
in un paesino della Sicilia la sua vita di cornuto contento, accettando
che la moglie lo tradisca col suo principale a patto che lo
scandalo resti chiuso tra le pareti di casa. Tutto fino a che l’altra
cornuta, Florica, scopre la tresca del marito e la mette in piazza. Nel
momento in cui l’adulterio diventa pubblico, per salvare il proprio
onore, Ciampa in un primo momento pensa al solito omicidio d’onore alla
sicula, trucidando i due amanti; poi con una trovata intelligente
concepisce il piano di far
sembrare pazza colei che li ha denunciati. La denuncia di Florica apparirà
allora come lo sfogo di una povera interdetta e le maschere continueranno
a occultare la verità, ristabilendo
così l’ordine turbato del paese e l’onore offeso dei becchi.
E’ evidente, quindi, l'intreccio da commedia dell’arte presente
nell’opera con le maschere sapientemente occultate, dopo la lezione
rivoluzionaria di Goldoni, sotto facce comuni sovrastanti meccanismi-corpi
comunque automatici, detti pupi. Questi pupi sono perfetti congegni
robotici con tanto di chiavi sulla fronte per azionarli:
la chiave civile al centro serve per equilibrare i rapporti sociali
e mantenere le forme dell’ipocrisia, viziosa ma assai efficace per
sopravvivere; la chiave destra è la seria, quella che permette di
attingere e dire la verità; la chiave pazza è a sinistra e scatena la
rivoluzione della verità, la follia, lo sconquasso dei rapporti mondani.
Quando quest’ultima chiave viene scatenata è l’ora d’indossare il
berretto a sonagli, copricapo tipico dei buffoni di corte che lo
indossavano nelle commedie e fuori teatro per dire verità aliunde
indicibili, con la salvaguardia fisica della testa ricoperta e
rappresentata dal simbolo della loro follia.
Bosetti in scena col berretto simbolico sul capo e la penna da scrivano su
un orecchio è un maestro nel calibrare e montare
i flussi mentali, gestuali e verbali del piccolo intelligentissimo
Ciampa, intento a muovere sapientemente le tre corde per attuare quei
tipici congegni di complicazione e scioglimento dei dilemmi presenti nella
commedia dell’arte.
Risolve
il tutto una follia lucida, irrefragabile, frutto di altissima
intelligenza da parte dell’uomo minuscolo che diventa infinitamente
grande, quasi eroico, nella sua capacità di strumentalizzare l’assurdo
per derivarne una forza di ribaltamento dell’apparenza sociale.
L’operazione
in sé ha anche un che di maligno, come lo si ritrova ancora nella
commedia dell’arte, dove sempre però la cattiveria è più un’arma di
difesa attiva dell’onesto, che un’autentica volontà di arrecare il
male agli altri. Per ciò il gioco da grottesco si trasforma in
straziante, essendo Ciampa, da onest’uomo qual è, addolorato prima di
tutto per se stesso per essere stato costretto dal destino a ricorrere al
male per attuare il bene.
Ecco
l’ultima chiave, quella nascosta nel centro della testa del pupo che lo
rende in nuce automa: il fato. Il destino che trasforma un semplice
scrivano in deus ex machina, capace di muovere i corpi degli
altri indirizzandoli verso la loro sede naturale, il manicomio, per
riequilibrare il mondo
a misura di pazzi.
Un’ interpretazione magistrale quella di Bosetti anche se, come
capitò per Eduardo, ha finito talora per oscurare quella degli altri
attori pur bravi. Una défaillance
che in parte va ascritta anche al testo dove la figura del Ciampa emersa
cautamente finisce poi per troneggiare e travolgere tutto ciò che lo
circonda.
La regia di Bosetti nella messinscena al Quirino è asciutta,
essenziale, sfrondata di ogni folclorismo siciliano, secca nel tono,
lucida nello sviluppo. “Il voluto respiro metafisico è sottolineato e
accentuato dalla scenografia, una stanza della tortura
spoglia, luogo mentale, astratto, senza tempo, dove la pazzia dei
personaggi può esplodere indisturbata e senza condizionamenti di
sorta”.