L’ANTITEATRO CALVO
DI
IONESCO
Di Agius & Francione
Al
Teatro dell’Orologio la compagnia del Teatro Instabile presenta “La cantatrice
calva”(regia di Gianni Leonetti) il capolavoro di Eugène Ionesco (Bucarest,
1912 – Parigi, 1994 ) che diede origine
al filone del “teatro
dell’assurdo”, secondo la felice definizione di Martin Esslin , genere
individuato nella definizione dello stesso autore come
“antiteatro”.
Quando
l’opera fu presentata nel 1950 al Théatre des Noctambules di Parigi ci fu un emerito
fiasco. La provocazione
per lungo tempo non fu capita, tanto che
per molte repliche gli unici spettatori presenti in platea sembra fossero
il solo Ionesco, sua moglie e rari amici. La
messa in scena sconcertò il pubblico parigino, ma entusiasmò la critica, sorpresa
da una scrittura drammatica così anticonvenzionale e innovativa,
denuncia ironica ma sferzante dell'alienazione e
dell'incomunicabilità che avrebbe generato
quel nuovo tipo di teatro, assurdo e paradossale, che si affermò
negli anni Cinquanta e Sessanta a Parigi e da lì in tutta Europa.
La storia? In
un salotto borghese tipicamente inglese, i coniugi Smith conversano
tramite una serie di constatazioni banali come se ne incontrano
nei manuali per l’apprendimento di una lingua straniera.
Quando Mary, la cameriera, torna dal cinematografo, annuncia che alla
porta ci sono i coniugi Martin. I due, come se non si conoscessero,
si scambiano una serie di battute paradossali, convincendosi di
essere marito e moglie solo dopo aver accumulato circostanze che lo
provano. Improvvisamente, arriva un pompiere alla disperata ricerca
di un implausibile incendio da domare, che diventa l’oggetto delle
attenzioni di tutti i personaggi. Quando lo spegnitore
d'incendi e di bruciori di stomaco esce, le due
coppie imbastiscono l’ennesima conversazione fitta di luoghi comuni.
Nella
“Cantatrice calva”, un’autentica anticommedia definita dall’autore
come “Tragedia del linguaggio”, il vero protagonista
è la parola che genera un linguaggio disarticolato, privo del suo
significato originario, basato su ammassi di conformismi mentali che
generano slogan, frasi
banali, non-sense. Il titolo stesso
dell'opera,
riferito ad un personaggio inesistente, nacque durante una prova nella
quale un attore ebbe un lapsus, sostituendo "cantatrice calva" a
"maestra bionda". Ma poi la messa in scena è tutto un fluire di
messaggi intesi come entità artificiali, pulsanti di vita autonoma
quali tracce della relazione comunicativa in quanto tale e non dei
significati a essi attribuiti dai comunicanti come l’ineguagliabile: «Signor
Martin: Preferisco uccidere un coniglio, che cantare in un ripostiglio.
Signor Smith: Kakatoè, kakatoè, kakatoè, kakatoè...».
La
parola alimenta il ritmo frenetico, esplosivo nella messinscena di
Leonetti , che crea un'avalanche postmoderna liberatoria, giocosa,
frenetica, fondando un'antiartistica (http://antiarte.studiocelentano.it)
combinatoria di stili, di epoche, di metodi, inserendo nella struttura da
metà novecento chiassosi televisori, cellulari muti, messaggi
pubblicitari ossessivi. L'anglofilia di
Ionesco viene salvata innestando i signori inglesi in una realtà
tutta italiana con personaggi che ad esempio s'incontrano sul pendolino
partito da Milano.
Naturalmente
rimane il fil rouge assurdo che percorre tutta la commedia in forma
parodistica, coi personaggi che si muovono in scena
anonimi, privi di una personalità ben identificata. Essi, ancora
nel postmoderno, colloquiano
tra di loro con discorsi illogici, che non dicono niente a rappresentare simbolicamente l’incomunicabilità oggi come
negli anni '50, esistente
tra gli uomini, realizzando l'obiettivo dichiarato di Ionesco che: «non è di far la
caricatura di un situazione ordinaria, ma di rendere ordinaria l'assurdità
fino al punto di mostrare quanto infinitamente assomigli a ciò che
chiamiamo anormale e quotidianamente accettiamo come tale».
Ionesco usa i personaggi anonimi e gli oggetti della scena
nella stessa atmosfera di sospensione nichilista, per dare vita ad
una coreografia in cui tutto è reale e dunque insignificante, assurdo.
Viene dato volto agli oggetti quali "la pendola", "il
campanello", posti sullo stesso piano dei coniugi manichini, della
cameriera insulsa, fino
all’irrompere del "pompiere", il quale entra in scena soltanto
quando la conversazione si è "accesa", quando "il clima si
scalda", quando l’incendio metaforico ha bisogno delle sue funzioni
di "spegnitore di fuochi".
Fuochi
fatui che ancora con Leonetti innalzano un inno alla stupidità, all'appiattimento e al
conformismo che in qualunque tempo strozzano pensieri e individualità. Una feroce ironia che
porta in scena simulacri di uomini che non sanno più commuoversi,
parlare, pensare. Solo marionette che emettono frenetiche suoni, slogan,
visioni vuote. Voci blateranti in corpi senza vera vita.
Leonetti cambia la forma ma salva lo spirito della "Cantatrice
calva", creando un fluxus di ritmo e immagini che superano di gran
lunga il significato delle parole. E' ciò che voleva Ionesco.