ANTIVITA DEGLI
INDIANI D’AMERICA
di
Agius & Francione
Presso l'Argillateatri a ROMA nei
giorni 17, 18 e 19 maggio è
stato messo in scena dagli Operai del Cuore lo spettacolo VITA SENZA
RISERVE, dedicato ai nativi americani. L'opera, diretta con la solita
maestria da Paolo Dal Canto, è dedicata a James Weddel, indiano Dakota
attualmente in carcere per un omicidio mai commesso e il cui unico torto
è stato quello di opporsi alla vendita delle Colline Nere al governo
Americano.
Per realizzare lo spettacolo, che ha subito raccolto consensi sia di
critica che di pubblico, il
gruppo si è messo in
contatto con le associazioni che stanno seguendo il suo caso,
hanno parlato con i suoi avvocati e comunicato per via epistolare
direttamente col detenuto. Hanno, inoltre, raccolto informazioni e dati
sulla situazione attuale dei Nativi Americani, sulle loro condizioni di
vita, sui problemi legati alla povertà, alla giustizia ed ai diritti
umani troppo spesso calpestati. Sulla base di questi materiali autentici
si è costruito il testo liberamente
ispirato ai racconti di Sherman Alexie e Hanay Geiogamah, scrittori nativi
contemporanei che hanno scritto della riserva, dell'alcolismo, della
povertà, delle ingiustizie e del razzismo in modo diretto ma pur sempre
venato di ironia e poesia.
Lo spettacolo messo in scena è frutto di un sapiente montaggio con
frammenti narrativi che si intersecano
in una sorta
di puzzle, ben giocato su ritmi e
modalità da teatro sintetico,
amalgamati grazie soprattutto all’omogeneità formale e
allo stile tragicomico.
Nella composizione si utilizzano
con maestria i corpi degli attori e gli oggetti, trasformati con
una fantasia eccezionale, come accade ad esempio per gli sgabelli che
diventano monte da vedetta,
sporta, canoa in cui inserirsi per navigare il fiume, etc.. Le parole del testo vengono usate più che per i loro
contenuti narrativi a mo’
di sonorizzazioni sinteticamente
evocanti situazioni
tipiche. Il fluxus di corpi, cose, parole è accentuato dall’uso di
quattro televisori ai quattro angoli utilizzati sia per trasmettere
immagini di film sugli indiani del far west, sia per inviare immagini di
attualità, cartoons etc. intervallate da riprese di azioni registrate
degli stessi attori(i bravissimi Caty Brembilla, Marco Colombo, Luca
Guaschetti, Walter Tiraboschi).
Quanto allo stile
il regista utilizza il grottesco
per gettare un finto umorismo su vicende invece pervase di sottile
malinconia se non di alta tragicità. Si percepiscono così sequenze
narrative in avalanche, con sagaci punte di ironia alternate a gesti
di elevata intensità emotiva soprattutto nei momenti esprimenti i
massacri, i furti di terra, gli stupri e le carcerazioni ingiuste subite
ad opera dei bianchi. Il climax, decisamente tragico, è la Danza degli
spiriti, un’autentica perla nella messinscena esprimente l’unica
rivolta possibile da parte degli indiani contro il bianco invasore,
rappresentata da una paradossale danza ai limiti dell’apocalittico
portato sulla terra di sopra
da defunti e bufali dell’aldilà.