UNKAYA ALLA LOCANDA ATLANTIDE
Affascinanti rituali aztechi alla Locanda di Atlantide il 24 gennaio
2007, nel quartiere S. Lorenzo.
L’originalissimo spettacolo di danza azteca, eseguito da danzatori
rispettosi della tradizione, ha suscitato nel pubblico stupore ed
approvazione, coinvolgendo magicamente gli astanti con la suggestione dei
rituali.
Le danze sono state precedute da una cerimonia purificatoria dei 4
punti cardinali, atta a richiedere l’autorizzazione divina allo
svolgimento della performance.
La valorizzazione della tradizione azteca e della simbologia insita nei
movimenti dei danzatori e nei costumi fedelmente riprodotti ha
letteralmente ipnotizzato la platea trasportandola virtualmente in terre
ed epoche lontane ed incuriosendo non poco i presenti.
L’effetto ipnotico e travolgente discende
inconsapevolmente dal ritmo delle percussioni forti ed incalzanti (guidate
da Mauro Mezzacapo e Pietro) e soprattutto dalla fluidità dei movimenti e
costumi dei danzatori Eleazar Ollinatl Contreras, Rocio Auachtli Neri e
Tlahkuilo Arreola anch’essi trascinati idealmente in antichi cerimoniali
e invocazioni.
La cerimonia di purificazione è seguita dalla danza del fuoco (Tletl),
la semina della Terra e la invocazione dei 4 elementi: aria, acqua,
fuoco e terra.
“Señor del cielo y de la tierra, fuente de vida,
tutela y amparo del hombre, origen del poder y la felicidad, dueño de las
batallas, omnipresente, fuerte e invisible”.
La terza danza inneggia a Xipe Totec, Dio
dell’agricoltura, dell’occidente, delle malattie, della primavera, dei
fabbri, delle stagioni. Simbolo della rinascita, egli presiedeva al
passaggio dalla morte alla vita e viceversa.
La leggenda narra che Xipe Totec tolse la pelle dal
proprio corpo per darla in nutrimento
all’umanità, simboleggiando, così, il seme del mais che perde la
scorza esterna per poter germogliare. La civilità azteca lo raffigura
senza pelle, dorato o “vestito” di una seconda pelle umana.
Ogni anno venivano offerte a Xipe Totec numerose
vittime scrificali cui era asportata la pelle affinchè fosse indossata
simbolicamente dai sacerdoti che presiedevano il rituale.
Inneggia e ringrazia la pioggia la quarta danza
eseguita, Quiauhtli; cui segue la Tonanzin, danza della
Madre Terra, rappresentativa dell’armonia tra gli elementi naturali.
E’ effettivamente
l’equilibrio tra gli elementi che i gesti e le movenze dei danzatori
richiamano con forza e fluidità. In ciò adattano i movimenti stessi alla
leggerezza e rotondità del piumaggio indossato ed al suono delle
percussioni, suggerendo non semplicemente una danza o un rito, ma una
visione del mondo e della vita.
L’ultima performance, la Danza del Cervo,
mostra le diverse fasi della caccia precedute dalla rappresentazione della
quotidianità della vita del cervo, ottenendo un effetto particolarmente
realistico e stupefacente.
Tale esibizione mostra, in modo evidente, la cura
del dettaglio da parte degli esecutori delle danze e lo studio
approfondito della tradizione, della natura, dei movimenti del cervo e
della dinamica dello scontro tra l’uomo e l’animale, guidati entrambi
dall’istinto di autoconservazione.
Numerosi i rituali proposti, tutti incentrati sul
rispetto degli elementi e sulla raffigurazione dell’armonia dell’uomo
con la natura. Il palcoscenico è impiegato quale scenario in cui il ritmo
biologico segue il ritmo tuonante delle percussioni nell’eterna
preoccupazione verso l’artificiosità che oggi spesso ci rapisce.
Restituire i nostri gesti quotidiani ed il nostro
ritmo interno alla natura, armonizzando il battito cardiaco con acqua,
aria, fuoco e terra, significa semplicemente ascoltare il suono della vita
e vivere nel ripetto di esso.
La riscoperta e la valorizzazione di antiche
tradizioni e rituali oltre a restituire il giusto legame dell’uomo con
la propria storia, svolge, dunque, un significativo ruolo terapeutico
stimolando l’autoriflessione e l’autoscienza e restituendoci il
rapporto con la natura oltre all’equilibrio e la simmetria con essa.
“UnKaya!”. Grida un danzatore. Mai più
senza la natura e senza il contatto danzato con la nostra interiorità.