BRUNO
LAUZI ANTIARTISTA A VILLA
CELIMONTANA
di
Agius
& Francione
Un Bruno Lauzi inedito quello visto nella
rassegna Jazz Image di Villa Celimontana a Roma
(http://www.alexanderplatzjazz.com). Un Lauzi che non canta se stesso ma i
grandi del jazz, raccontandone la storia con humour, saggezza, talora vena
poetica come se non si trovasse in una vasta arena, ma in un piano bar, là
a sorseggiare il suo
bicchiere, col pianista Riccardo Biseo
sfumacchiante, con Carlo
Battisti detto Gegez
il batterista a dare i tempi col contrabbasso Mauro Battisti al cantautore genovese e al
clarinetto magico Gianni Saintjust.
Lo spettacolo è bello, lungo, con quell’omino jazz singer
che lancia la sua voce ora vellutata, ora forte, in preda a un’energia
inesauribile accompagnato dal suo impeccabile e appassionato
"Quartetto & Saint Just”. Canta e
trasuda l’amore per la scuola genovese di cantautori ricordando
di continuo, negli aneddoti e nelle note lanciate, i suoi amici, Umberto
Bindi, Gino Paoli, e soprattutto Luigi Tenco con cui Lauzi condivise
vicende adolescenziali di liceo, di musica, di passioni come il coltellino
con cui sollevavano il gancetto dell’uscita di sicurezza della sala
cinematografica per vedere aum aum i
grandi film musical americani. Con
Luigi - siamo all'incirca nel '53 - faceva parte della stessa
"band", la "Jelly Roll Morton Boys Jazz Band ".
Lancia
con eleganza e maestria Lauzi
le note dei grandi autori, da My Funny Valentine a Love is Here
to Stay, As Time Goes by, When I Fall in Love e così via,
naturalmente tutti in inglese, e anche tre pezzi suoi in italiano, Mio
padre cantava jazz, Bebop ipotetico e un brano dedicato a Paolo Conte,
Diano Marina, «nel quale immagino che lui d’estate si paghi le
vacanze suonando con un trio”.
Alla fine è
un’ovazione e nell’immancabile richiesta del bis, a richiesta di uno
spettatore, Bruno rifiuta di cantare Lauzi, ovvero la sua quotidianità.
Oggi si sente felice e rilassato perché non ha cantato se stesso.
Ricorda Caterina Valente. Un giorno cantava in un locale e lei, che si
trovava laggiù, gli disse che sarebbe stato veramente grande quando
avesse cantato altro da sé.
Ora, maturo, accetta la lezione. Né potrebbe essere diversamente
perché, intervistato tra una stretta di mano e l’altra - una del grande
Renzo Arbore che esordisce con un “Non potevo mancare con te” - ha
manifestato chiari sintomi antiartistici. “L’arte è morta”
commenta. “E’ vero che ogni capolavoro è un’incompiuta?“ lo
sfidiamo. E’ lui: ”Certo…. Fortunatamente”.
La frammentarietà dell’arte l’aveva già annunciata in tutta la
sua rappresentazione, rimembrando la fraternità antiartistica che portava
i jazzisti ad agire la musica, a due mani, a quattro fiati, piuttosto che
a strombazzarla come prodotto assolutamente personale per autoglorificarsi.
Uno dei principi dell’Antiarte(http://antiarte.studiocelentano.it)
è proprio la circolazione del soul, l’anima che affratella gli
artisti, li esautora da quella che Lauzi chiama “autarchia”, li fa
esibire in un ensemble
mistique dove quello che conta è la circolarità delle idee, delle
emozioni, delle note che appartengono non più ai singoli ma
a quello che Goethe chiamava lo “Spirito del Tempo”.
Gloria a Lauzi che si definisce
“poeta fungaiolo”(come si legge nel sito http://www.brunolauzi.com/).
Da frammentario antiartista è
un cantante, compositore, autore di testi, cabarettista. Nel tempo libero
si occupa di politica (sua antica passione), giornalismo, gastronomia ed
è, sissignori, un gran cercatore di funghi. Oggi si è mostrato in
relax in questo bagno di umiltà nell’altro da sé, che è un ritorno
alle origini, a ‘o jazz, autentico motore dirompente di tanti
artisti italiani come lo stesso Arbore che hanno purificato e tonificato
la loro ispirazione, sia nella creazione raffinata che in quella popolare,
con gli stili del sax, della tromba e
del clarino.