ESERCIZI
DI STILE PATAFISICO
di
Agius & Francione
Da 16 anni tengono banco in un teatro parigino e sono stati
rappresentati all'Elisée, su invito dello stesso presidente Mitterand.
Questi "ESERCIZI DI STILE" da Raymond Queneau, messi in scena,
adattati e interpretati dall'attore-regista Jacques Seiler sono proposti,
nella versione italiana di Mario Moretti, con la regia dello stesso Seiler,
alla Sala Grande del teatro dell'Orologio dal 22 ottobre 1996.
Quaranta giorni di prove con Seiler; la partecipazione appassionata
dei tre interpreti ( Marco Guadagno, Ludovica Modugno, Francesca Pannofino)
che si moltiplicano, nello spazio di poco più di un'ora in infiniti
personaggi; le spiritose musiche di Michel Derain riprese dalla messa in
scena parigina fanno di questo spettacolo una felice trasposizione del
gemello francese. E forse anche, come sedici anni fa a Parigi, un nuovo
"caso teatrale".
Per comprendere la potenza patafisica del testo può essere
utile una breve biografia dell'autore.
Raymond Queneau nacque a Le Havre nel 1903 e iniziò la sua
produzione letteraria con i surrealisti. Fu scrittore polimorfo e
creativo: da saggista a poeta, da romanziere a critico d'arte e cinema, da
filosofo a matematico. Si
professò "patafisico" sulla scia di Alfred Jarry e cultore delle
"scienze inesatte" essendo la patafisica proprio la
"scienza delle soluzioni immaginarie", ovvero l'epistemologia
dell'assurdo, l'antiscienza che si fonda sull'implausibilità del reale e
sulle costruzioni mentali sfocianti,
anche nelle strutturazioni più serie, negl'impareggiabili flatus
vocis.
Queneau,
fino alla sua morte,
sopraggiunta
a Parigi nel 1976, diresse importanti iniziative letterarie come L'Encyclopédie
de la Pléiade. Quest'attività di enciclopedista rappresentò la chiave
di volta della sua produzione, a dimostrazione che ci troviamo di fronte a
un grande letterato, capace di misurarsi con le tutte novità delle forme
letterarie del Novecento come si rileva dalla poliedrica trasmutazione
linguistica delle sue opere a partire proprio da Esercizi di Stile(scritto
nel 1947).
E' questa l’opera più nota di Queneau, tradotta già in
italiano da Umberto Eco e ora in efficacissima traduzione di Mario Moretti
che ha vissuto molto in Francia ed ha un contatto privilegiato con la
lingua transalpina.
"Scrivo
in francese, una lingua morta come il latino" annotava Queneau dal
che si nota già lo spirito tagliente e la volontà di rivitalizzare un
linguaggio divenuto banale e cadaverico. Per Queneau la funzione
principale dello scrittore "è quella di prendere un linguaggio
povero come il francese miserello dell'alto medioevo ed elevarlo alla
dignità di lingua scritta", aggiungendo che "il francese è una
lingua morta - e ricca come lo sono appunto le lingue morte - che può
benissimo essere utilizzata ancora per centinaia d'anni come lo è stato
il latino. Ma questo francese lingua morta ha un rampollo che è il
francese vivo parlato, lingua disprezzata dai dotti e dai mandarini, che
però ha perfettamente il diritto di essere elevata alla dignità di
lingua di civiltà e di lingua di cultura".
Esercizi di stile è proprio la frenetica azione di
riesumazione di un linguaggio cadavere attraverso gli stili,
i sensi e i non sense, l'argot e i calembour attuata
da un poeta tenero, ricco di divertimento e malinconia. Un poeta che con
non chalance passa dall'epico al drammatico, dal racconto gotico alla
lirica giapponese, giocando con sostituzioni lessicali, frantumando la
sintassi, permutando l'ordine delle lettere alfabetiche... Un'operazione
di cuore ma anche di testa compiuta
da uno scrittore capace di
giochi pirotecnici con la ragione costruttiva di giochi verbali
intellettuali. Per riesumare un cadavere invero è necessaria proprio un'
operazione di risurrezione globale, frenetica, inarrestabile. Con Queneau
- come scrive Alain Robbe-Grillet -
si è davanti a un nuovo tipo di narratore, "non più
solamente uomo che descrive le cose che vede, ma nello stesso tempo capace
di inventare le cose attorno a sé e di vedere le cose che inventa".
Il testo si fonda su un
racconto riscritto ben
99 volte in uno stile sempre diverso basato su due incontri casuali con un
personaggio altamente irritante nel corso di una giornata.
Un tizio sulla piattaforma di un autobus della linea 5, nell'ora di punta a
mezzogiorno,osserva un giovanotto dal lungo collo e dal cappello floscio,
che litiga col suo vicino accusato di spingerlo ogni volta che passa
qualcuno e di avergli pestato un piede.
Alla fine, proprio mentre impreca, riesce a "soffiare" il posto a sedere.
Due ore dopo rivede il giovane alla Cour de Rome, davanti alla Gare
Saint-Lazare. E' con un amico che suggerisce al bellimbusto di aggiungere
un bottone al proprio soprabito per ridurre la scollatura.
Su
questo tema addirittura becero Queneau, per puro spasso suo e dei suoi
amici della Pléiade, inventa novantanove variazioni (divenute 60
nell'adattamento dell'Orologio) con versione metaforica, telegrafica,
ampollosa, sonettistica, volgare, onomatopeica, esclamativa, gustativa,
insiemista, al presente, al
passato e così via.
Partendo
da questo Queneau sempre più scatenato giocoliere della parola scritta,
il raccontino viene proposto in un cinese, greco, inglese, francese,
giavanese
inventati di sana pianta; in racconto poliziesco e problema matematico; in
linguaggio gastronomico, psichiatrico, zoologico, giudiziario; in
differenti stili di romanzo; in quiz televisivo, in numero di varietà;
secondo i diversi punti di vista di un vecchio pensionato, di una signora
piccola borghese, di un operaio, di un aristocratico, di una
commessa di grande magazzino. “E quando la parola si arresta, al Teatro
dell'Orologio, è la musica a sostituirla, trasformandosi in canto
gregoriano, song brechtiano, canzone da cabaret alla Satle. Per lo
spettatore è come essere al volante di una vettura di formula uno che
divora, a velocità strabiliante, la pista. E la sensazione di vertigine,
di stordimento dinanzi alla parola che compie dieci, venti, trenta
metamorfosi”.
L'effetto è tra il comico e il paradossale, con un
ritmo travolgente grazie alla continuità e alla bravura energetica degli
attori, sincronizzati alla perfezione in quell'autentica
valanga di mutazioni linguistiche con intento anche pedagogico. Come ha
sottolineato Eco "Queneau è un grande artificiere che ci insegna a
muoverci nella lingua come in una polveriera". Scrivere, in questa
maniera, diviene sempre più un gioco, ma intanto ci rende consapevoli di
molteplici modi di espressione e ci aiuta ad acquisire uno spirito di
grande flessibilità, fondamento dell'autentica democratica fondata sulla tolleranza. Ed
è così che il gioco linguistico teatrale si fa addestramento etico e insieme
capacità di sopportare il prossimo limandone parte più tagliente,
volgare, pericolosa, noiosa: la parola.
Il gioco
linguistico di Queneau richiama inevitabilmente il filosofo austriaco
Wittgenstein, maestro di incoerenza e di autenticità che elaborò la
Teoria dei linguaggi-gioco(Sprachspiel), attingendola da Sant'Agostino il
quale nelle Confessioni(1.8) riferì di aver appreso il linguaggio degli
adulti, osservando quali oggetti le singole parole indicassero.
Le parole
che usiamo quotidianamente ci sembrano come pietre e invece hanno la
volatilità dell'aria. La lingua è solo un "gioco di denominazioni"
ovvero uno dei tanti giochi-linguaggio costituenti la vita del
parlante. Ciascuno Sprachspiel ha la sua forma e la sua logica
impenetrabile ad un altro linguaggio che si basa su altre premesse e su
diversificate procedure logico-ludiche. Ecco perché Wittgenstein paragona
il nostro linguaggio a una " vecchia città. un dedalo di strade e di
piazze, di case vecchie e nuove e di case con parti aggiunte in tempi
diversi..." e dà risalto all'uso vivo e mutevole del comunicare
secondo molteplici regole e innumerevoli variazioni funzionali e
contestuali.
Una
teoria quella di Wittgenstein
che si fa più che mai materia teatrale rutilante tra le mani di Queneau e
oggi nell'adattamento di Moretti, nel cui teatro un pubblico folto,
competente, appassionato ha tributato il dovuto
trionfo al Gran
Buffone
dei giochi linguistici
di Le Havre.