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ANTIARTE 2000 AL POTERE.
SCACCO AL RE AL MUSEO DI CINEMA DI ROMA.
Ho cominciato subito a parlare di attacchi al potere da
parte degli artisti.
L'ho fatto con un antiartista ante litteram: Géorges
Méliès, il vero misconosciuto inventore del cinema fantastico. Egli attaccò i
distributori-squali che prima lo innalzarono alle stelle poi lo gettarono sul lastrico,
costriugendolo a vendere caramelle per i bambini fuori dalla stazione di Montmartre.
L'ho fatto prima della tavola rotonda che chiudeva la XIX
settimana del Cinema Muto presentando la biografia romanzata di Georges da me scritta ed
edita, metaforizzata nel diabolico La Lanterna di Mephisto, in occasione della
trasmissione di alcuni film di Méliès connessi al libro come Voyage dans la Lune, La
Lanterne Magique, Le Mélomane, Le royame des fées, Le tonnère de Jupiter.
La sala era piena. Non ho mai visto tanta gente ai
convegni del museo. C'erano giovani e anziani; uomini d'arte e non. Soprattutto godevo
degli amici antiartisti di rete come Reno Bromuro e Andrea Giannasi della rivista Prospektiva
"i cui occhi fotografavano ogni più piccolo particolare, con l'aria del giornalista
navigato, ma lo sguardo del bambino avvinto dalla bellezza; nel nostro caso
l'arte"(Reno Bromuro).
Dopo le proiezioni e commenti, al convegno finale,
riprendendo spunti polemici dall'attrice Maria Denis, sono partito all'attacco sparato
della lercia cultura piramidale italiana, immaginando una nuova cultura sferica urlando in
fundis: "Basta delegare agli altri! Evviva l'antipolitica. Evviva gli artisti al
potere!". In ciò mi sono trovato immediatamente sostenuto dal battagliero poeta,
regista, attore Reno Bromuro che lanciava ulteriori strali contro il sistema editoriale
italiano e alla fine dallo stesso inventore del Museo Josè Pantieri, che lamentava
l'assoluta indigenza del suo museo, connessa alla cattiva distribuzione di danaro pubblico
rispetto a strutture similari. "Chi tanto e chi niente!" si dice a Napoli - ma
anche altrove - a sottolineare, dico io, la vera essenza dello stato democratico in
cui sopravviviamo.
Antiarte. Era cominciato tutto per gioco...
Un giorno dell'ultimo gennaio del '99 la Banca del Tempo
mi fa conoscere il poeta e regista Stefano Loconte che, oltre a mettere in scena una mia
pièce(Il negozio dei robot) mi rivelò di avere in mente un vecchio progetto di
creare un'associazione di artisti liberi. Ma da dove cominciare?
La mia Scatola Cinese ce l'avevo a portata di mano. Tirai
fuori il MANIFESTO dell'"IPERTRANSAVANGUARDIA DEL MEDIOEVO ATOMICO" che avevo
pubblicato su rivista alternativa Dismisura(Anno XXV, n° 115-117 gennaio 1997, p.
108, un accenno lo trovate anche in rete) e il gioco era fatto.
I due bambini entusiasti si gettarono sul cubo istoriato
con farfalle e, mentre Stefano dal manifesto tirava fuori la magica parola ANTIARTE 2000,
al gruppetto si univano illustri antiartisti italiani e stranieri(spesso tanto ignoti al
grosso pubblico quanto forti) come lo scrittore anarchico greco Raul Karelia, autore del De
Merda(ed. Scipioni, giugno 2000... fresco fresco) e il poeta albanese Visar Zhiti,
condannato ai lavori forzati per le sue poesie.
Ora c'è chi sta vagheggiando un sogno politico. E' il
massimo dell'Antiarte: dare la scalata al potere per gestire finalmente gli artisti in
prima persona i media dell'Arte, sottraendoli ai gruppi mercantili che al vertice della
piramide portano sempre le stesse facce e neppure i più validi. L'Arte mondiale reale è
almeno di vent'anni più avanti di quella che vediamo sulle riviste, sui giornali anche
specializzati, in Tv. Qualcosa s'intravede in Internet dove è c'è più possibilità che
anche la cantina informatica più sordida riesca in qualche modo ad avere uno spiraglio di
luce.
C'è chi obietta che l'Arte al Potere è un fallimento in
nuce. Ci hanno provato i marinettiani col Partito Futurista e sono stati letteralmente
mangiati da Mussolini. Ci hanno provato i surrealisti di Bréton al grido
"L'immagination au pouvoir" sciogliendosi per diatribe interne come neve al
sole.
Va bene, la storia è questa. Ma prima o poi gli artisti
ci riusciranno. Perché non ci proviamo noi? Nel fondo l'esperimento degli artisti al
potere non è stato mai veramente fatto, a parte quei tentativi, autentici approcci
incoativi, velleitari, naufragati alla fine miseramente.
Basta. Antiartisti di tutto il mondo unitevi!
Era cominciato tutto per gioco... E il gioco continua.
L'Arte che vuole conquistare il potere lo fa comunque per gioco.
Grazie Stefano, grazie Reno, grazie fratelli e sorelle
care. Unitevi a noi bambini e divertiamoci con le Leve del Comando che non comanderanno
più un emerita mazza!
GENNARO FRANCIONE
giudice drammaturgo
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SULLA
COMUNE
di
Guy Debord, Raoul Vaneigem, Attila Kotànyi
http://www.ecn.org/contropotere/comune.htm
.
2.La
Comune è stata la più grande festa del XIX secolo. Vi si trova, alla
base, l'impressione degli insorti di essere diventati padroni della
propria storia, non tanto a livello di decisione politica «governativa»
quanto a livello di vita quotidiana in questa primavera del 1871 (vedi il
gioco di tutti con le armi, che vuol dire: giocare con il potere). E'
anche in questo senso che occorre comprendere Marx: «La più grande
misura sociale della Comune era la sua stessa esistenza in atto.»
10.
L'aneddoto degli incendiari, negli ultimi giorni, venuti per
distruggere Notre-Dame, e che vi si urtano al battaglione armato degli
artisti della Comune, è ricco di significato: è un buon esempio di
democrazia diretta. Mostra anche, più a fondo, i problemi ancora da
risolvere nella prospettiva del potere dei consigli. Questi artisti
unanimi avevano ragione a difendere una cattedrale in nome di valori
estetici permanenti, e di fatto dello spirito dei musei, mentre altri
uomini volevano giustamente accedere quel giorno all'espressione
traducendo con questa demolizione la loro sfida totale ad una società
che, nella sconfitta presente, gettava nuovamente tutta la loro vita nel
silenzio e nel nulla? Gli artisti della Comune, agendo da specialisti, si
trovavano già in conflitto con una manifestazione estremista della lotta
contro l'alienazione. Bisogna rimproverare agli uomini della Comune di non
aver osato rispondere al terrore totalitario del potere con la totalità
dell'uso delle loro armi. Tutto porta a credere che si siano fatti sparire
i poeti che hanno tradotto in quel momento la poesia in sospeso nella
Comune. La massa degli atti incompiuti della Comune consente che gli atti
abbozzati diventino «atrocità», e che i ricordi siano censurati. La
frase «coloro che fanno delle rivoluzioni a metà non fanno che scavarsi
la fossa» spiega anche il silenzio di Saint-Just.
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1871 - 2001: quel lontano marzo a Parigi
La Comune sconosciuta
Da "Umanità Nova" n.10 del 18 marzo 2001
http://www.comune.bologna.it/iperbole/asnsmp/comuneparigiumanitanova18marzo2001.html
I SIMBOLI
I rivoluzionari della Comune spararono in primo luogo sugli
orologi, mandandoli in pezzi, per infrangere non solo formalmente il
tempo regolato dall'oppressione, e quindi bruciarono la ghigliottina,
a sottolineare la loro distanza dalla logica della rivoluzione politica e
dal Terrore giacobino.
Poco prima della caduta della Comune, venne demolita la colonna
napoleonica di Place Vendôme; la gigantesca costruzione, rivestita con il
bronzo dei cannoni catturati al nemico dopo la battaglia di Austerlitz,
era alta 44 metri e, sormontata dalla statua di Napoleone nelle vesti di
Cesare, rappresentava la celebrazione dell'impero napoleonico. Grande fu
l'indignazione causata da tale atto, definito vandalico, sia in Francia
che in quella stessa Europa che aveva combattuto, sconfitto e imprigionato
Napoleone.
L'abbattimento della Colonna Vendôme offrì quindi il pretesto alla
borghesia per accusare la Comune di inciviltà; in realtà si trattò di
un episodio del tutto simbolico e legato alla realtà convulsa e disperata
degli ultimi giorni prima della vittoria della reazione; tale incidentalità
è peraltro dimostrata dal programma della Federazione degli Artisti di
Parigi: "I monumenti dal punto di vista artistico, i musei e gli
edifici di Parigi che ospitano gallerie, collezioni e biblioteche di opere
d'arte, non appartenenti a
privati, sono affidati alla cura e alla sorveglianza del Comitato. Il
quale redige, conserva, rettifica e completa progetti, inventari,
repertori e cataloghi. Li mette a disposizione del pubblico per favorire
gli studi e per soddisfare la curiosità dei visitatori...".
I DIRIGENTI
La Comune ebbe numerosi -molti critici hanno detto troppi- dirigenti,
leader e responsabili per i vari settori della vita politica, sociale,
culturale ed anche militare della Comune stessa. Se sulle forme di
gestione ed organizzazione sociale il dibattito rimane storicamente
aperto, può essere interessante sapere che, prendendo in esame le 40
figure più importanti della Parigi rivoluzionaria, la maggior parte
risultavano aderenti all'Internazionale (circa il 50%), tra cui numerosi
proudhoniani e anarchici (oltre a Louise Michel, va ricordato Elia Reclus
-fratello di Elisée-, direttore della Blbliothéque nationale); poi vi
erano una decina di blanquisti, mentre tra i restanti figuravano i
neo-giacobini, un radicale, alcuni "senza partito", diversi
intellettuali ed artisti, e persino un generale.
LA POESIA
Numerosi furono i poeti che cantarono la Camune. Due nomi per tutti:
Verlaine che compose un piccolo poema dedicato a Louise Michel e Rimbaud
che celebrò la Comune in tre sue poesie.
Tra le varie poesie, ballate, canzoni (talvolta stampate su manifesti come
proclami rivoluzionari), va inoltre menzionata L'Internazionale di Eugéne
Pottier, poi universalmente nota.
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